La sfida per i disoccupati in trentino

Più di venti mesi. Quaranta edizioni abbondanti del percorso formativo intitolato «Iniziativa ed imprenditorialità», che Impact Hub e Formazione Lavoro svolgono all’interno del bando Key Competence finanziato dall’Agenzia del Lavoro e dalla Provincia di Trento. Circa mezzo migliaio di corsisti, sparsi su tutto il territorio trentino. Un periodo intenso, ricco di scambi non solo «tecnici», ma soprattutto umani. Tecnici, perché durante la decade di ciascun corso l’obiettivo è quello di offrire il maggior numero di strumenti, così da mettere ogni persona in condizioni di valutare un eventuale passaggio – in mancanza di occupazione – all’attività imprenditoriale autonoma. Si insegna a disoccupati e inoccupati, partendo dai loro sogni, dalle unicità e dalle competenze specifiche, a dare vita a una startup. Una bella sfida.

Gli esami non finiscono mai. Un modo di dire certo, ma con un fondo di verità se si guarda alla complessità del mercato del lavoro di questi tempi. Siamo di fronte alla necessaria presa di consapevolezza che la crisi economica iniziata nel 2008 – e oggi diventata nuovo equilibrio dentro il quale faticosamente cercare la propria posizione – ha cambiato radicalmente il contesto e il modo di muoversi all’interno di esso.

Come si è modificato il modo di fare turismo e di muoverci e cosa possiamo imparare da piattaforme come Airbnb o Bablacar? Quali sono le forme e le modalità nuove di accesso al capitale e al credito? Cosa può imparare una persona di mezza età che vuole avviare un’attività nell’ambito della sartoria dalle startup digitali che si stanno diffondendo anche qui da noi?
Negli ultimi anni, grazie alla cultura e al «movimento» delle startup sono stati strutturati e sviluppati degli strumenti nuovi, accessibili ed efficaci, che possono permettere a ciascuno applicare un approccio imprenditoriale al proprio progetto, a una propria competenza. Non si tratta di programmi sofisticati, di compilare tabelle usando excel, ma di strumenti più intuitivi che permettono, in un certo senso, una «democratizzazione» della conoscenza.

Il mettersi in gioco in questo nuovo contesto non è un processo rapido e nemmeno indolore. La maggior parte dei corsisti è gravata dal fardello della perdita del lavoro, che nella maggior parte dei casi è contornata da problematiche economiche, famigliari e psicologiche. L’accantonamento dell’operatività è, nella fattispecie, una delle dinamiche che in assoluto più mina l’autostima, con tutti i malanni che questo comporta. Eppure in moltissimi, la maggioranza, si mettono con curiosità alla prova.

Il passaggio di conoscenze e competenze legate all’autoimprenditorialità è sempre una mediazione con la disposizione dei partecipanti, e fortunatamente solo in rari casi questi si dimostrano riluttanti all’apprendere, e anzi vivono le lezioni in modo entusiastico, cercando giorno dopo giorno di far sedimentare i contenuti sulle loro possibilità reali – per dirla con Kant – di iniziare anche solo a pensare di «mettersi in proprio». Quanti ci riescono davvero? Un numero certamente esiguo, così come appare un piccolo sasso lanciato nel mare il numero degli impiegati nelle start up innovative se lo paragoniamo alle cifre dei disoccupati di lungo periodo o anche solo alle dimensioni del fenomeno dei Neet(giovani che non lavorano, non cercano impiego e non studiare nemmeno). Si sono trasformati i lavori e il filtro di ingresso al mercato che regola domanda e offerta è a maglie strette.

La solitudine – unita alla frustrazione – è spesso il tratto comune alla larghissima maggioranza dei partecipanti ai corsi, che trovano nelle due settimane di lavoro di gruppo una breve parentesi partecipativa, relazionale e cooperativa. Non è cosa da poco. Finiti i corsi, dopo dieci giornate intensi, è lì che tutto rischia di tornare come prima ed è difficile verificare quale sia l’impatto dei contenuti proposti e delle reti costruite sui singoli casi.

Su una scrivania dello spazio di Impact Hub, in via Sanseverino, c’è un cigno multicolore costruito piegando pazientemente una miriade volantini riciclati. Un originale origami, opera di un corsista incontrato qualche mese fa. Lo ha donato ad Hub perché semplicemente – in un’ora di supporto ai vari progetti di start up – lo abbiamo aiutato a creare una pagina Facebook per promuovere i suoi prodotti artigianali. Forse lui non sarà mai un imprenditore ma è un fatto che non siamo riusciti a affiancarlo sufficientemente nell’analisi e nella verifica delle potenzialità della sua idea, buona o cattiva che fosse.

Ma, al di là di questa riflessione, siamo consapevoli che la funzione importante del percorso è quella di portare gli strumenti, il linguaggio, i modelli che sono appannaggio prevalentemente di universitari, accademici, innovatori vari a un pubblico più vasto intenzionato a tradurre tutto questo in vari settori dell’economia. Se Airbnb mette in discussione l’esclusività degli attori tradizionali in ambito ricezione e turismo, Blablacar diventa un competitor reale per Trentinalia e altri soggetti istituzionali, molto probabilmente ci saranno molti altri settori nei quali il lavoro potrà essere creato tramite la nascita di imprese che innovano i modelli di business tradizionali. Se questa ricerca diventa uno sforzo diffuso sul territorio probabilmente riusciremo ad arrivare a risultati utili, in tempi più rapidi, e ad adattarci ai cambi del mercato con flessibilità e intuito.

Come trasformare la transitorietà della formazione (obbligatoria per confermare l’accesso al sussidio di disoccupazione) in un’efficace driver di reinserimento lavorativo verso un nuovo impiego o un’esperienza di autoimprenditorialità? Saprà la riforma dell’offerta formativa in atto(orientata ad una maggior personalizzazione dei percorsi possibili) essere uno dei fattori del processo capace di aiutare il Trentino a diventare una «Public Benefit Enterprise Zone», così come abbiamo suggerito nel nostro post precedente?

È proprio vero, gli esami non finisco mai.

Paolo Campagnano, Federico Zappini e Alessio Salvetti