HUBBER: MATTEO TIBOLLA

Iniziamo con le presentazioni: chi sei e cosa fai?

 

Sono Matteo Tibolla e mi occupo principalmente di ricerca nell’ambito della user experience, (la mia professione può definirsi ux researcher). Nello specifico, l’argomento di cui mi occupo è l’analisi del target e, da un anno a questa parte, lavoro come freelance dopo aver fatto la mia gavetta in un’azienda di neuromarketing. Oltre a questo lato da ricercatore, nel mio lavoro di tutti giorni mi dedico tanto alla formazione, la quale spesso si trasforma in consulenza una volta che il cliente richiede un affiancamento più costante. Il mio obiettivo, in questi casi, è rendere un contenuto più saliente, più evidente di altri. Ad ogni modo, diciamo che il mio punto forte è l’analisi con le persone e il fatto che ci abbia scritto un libro ne è un po’ la prova. D’altronde sono un sociologo di formazione e quindi la ricerca sociale fa un po’ parte di me. Credo che il mio sia stato un percorso quasi circolare, infatti dalla sociologia sono passato al marketing, un po’ per caso e un po’ perché ho sempre avuto una predisposizione verso l’aspetto più economico della sociologia. Poi quando dal neuromarketing sono passato all’usabilità (alla user experience) ho dovuto ripescare le mie conoscenze e la mia formazione da sociologo.

Sembra che il tuo sia un percorso davvero particolare! Puoi spiegarci come sei riuscito ad arrivare al punto in cui sei ora?

Penso che tutte le cose vengano da sé, non avevo un piano all’inizio, anzi probabilmente quando studiavo neanche sapevo cosa fosse la user experience (che poi secondo me pochi la conoscono tuttora). Comunque ho fatto la triennale in Sociologia e poi la magistrale in Gestione delle Organizzazioni, una materia più legata alle risorse umane ma anche inserita nell’ambito aziendale. Dopo la laurea ho fatto parte per cinque anni di questa startup di neuromarketing, nella quale ho potuto mettere le mani, non solo sugli strumenti per capire in che modo una persona si emoziona davanti a uno stimolo comunicativo, ma anche come rendere questo stimolo più efficace. Più in generale ho acquisito conoscenze sul neuromarketing, che fonde insieme neuroscienze, economia comportamentale e marketing per formare questa nuova disciplina. In questa azienda mi era stato dato il compito, insieme alla mia collega che è anche coautrice del libro, di occuparmi della parte specifica di usabilità. Lavorando soprattutto con banche del territorio, ci siamo sporcati le mani e abbiamo portato avanti i nostri studi, pur sapendone entrambi poco della user experience dal punto di vista accademico, dal momento che nessuno di noi due aveva una formazione legata a quello. Dopo diverse prove ed errori (e il libro ne è la testimonianza) siamo arrivati ad avere buoni risultati e ad avere un buon grado di soddisfazione da parte dei clienti, che hanno apprezzato il modo in cui gli strumenti, le conoscenze e il rigore del neuromarketing sostengono l’analisi dell’usabilità. Dopodiché la mia decisione personale è stata di uscire e creare qualcosa di mio, di creare un’azienda, non per i test di neuromarketing, ma più in generale per la user experience. Quindi sì, potremmo dire che il mio percorso si è costruito pian piano e ho riscoperto delle passioni legate al design e all’aspetto grafico che sempre mi sono piaciute, anche se non posso definirmi uno ux designer.

 

Okay adesso dicci un tuo pregio e un tuo difetto come hubber

 

Domanda tosta! Beh quello che apprezzano è che sono simpaticissimo! No al di là degli scherzi, credo di avere, altrimenti non farei questo lavoro, un buon livello di empatia e di riuscire a capire un po’ gli altri e a mettermi in contatto con le altre persone. Per il resto sono nuovo qui, quindi spero che nessuno abbia ancora da lamentarsi troppo su di me! A volte posso sembrare introverso, non so, bisognerebbe chiedere ad altri. Però ecco, magari non faccio quel passettino in più: diciamo che anche se entro subito in empatia, l’aspetto della fiducia viene dopo e tendo a mantenere quella barrierina come a dire: ”Aspetta, prima fammi capire un po’ chi sei”.

 

Adesso svelaci un tuo talento o una tua passione che qui nessuno conosce!

 

Purtroppo o per fortuna ho tanti hobby, ti direi la musica, sia ascoltata che suonata, anche se non è così segreta come passione, dato che ho cominciato già a parlarne con qualcuno. Io suono principalmente la chitarra e prima del covid avevo un trio, però il primo strumento che ho imparato è stato il flauto traverso. Sono nato con il rock e il blues ma mi piace spaziare tanto, posso ascoltare death metal e jazz nella stessa giornata, musica classica e musica elettronica, ad esempio da giovane ascoltavo tanto anche m2o.

 Poi un’altra mia passione è la fotografia, infatti per tanti anni ho scattato amatorialmente. Da buon sociologo ovviamente quella che mi appassionava di più era la street photography e secondo me può anche essere una buona tecnica per vincere alcune paure, perchè è più difficile fotografare una persona che un panorama e può essere un modo per vincere un po’ l’imbarazzo di rapportarsi con sconosciuti. 

 

Puoi raccontarci cosa rappresenta per te Impact Hub?

 

Si, anche se è un mese e mezzo che ho iniziato, io conosco Impact Hub da quando ero studente e devo dire che lo apprezzo molto. Adesso, per chi fa un lavoro come il mio, casa tua è spesso il tuo luogo di lavoro e poter avere un posto dove poter separare le due cose fa tanto la differenza. Questo aspetto è confermato anche diversi studi: trovarsi in un ambiente che ti immerge nel mondo del lavoro ti fa concentrare di più e ti fa entrare in una prospettiva più professionale. Per me è un modo di uscire dalla propria zona di comfort, poter incontrare qualcosa di nuovo e, dal momento che per noi freelancer le relazioni con gli altri sono fondamentali, questo può essere un ottimo modo per creare una rete di contatti. In più Impact Hub è un bel luogo, informale al punto giusto, con delle regole ma comunque aperto e accogliente.

 

Citazione preferita

 

And in the end, the love you get is equal to the love you give (Sir Paul McCartney)